Smart working, i numeri di una tendenza destinata a crescere e i cambiamenti da mettere in atto

Mag 12, 2023 | Trasformazione digitale

Lavoro in presenza, da remoto oppure in modalità ibrida? Non c’è una risposta univoca né una corretta, si tratta piuttosto di equilibrio.

Durante l’emergenza sanitaria da Covid-19 il lavoro in smart working forzato portato avanti da milioni di lavoratori ha preservato di fatto il nostro stato di salute, contribuito a garantire la continuità aziendale e ci ha insegnato il valore di due componenti divenute fondamentali: il lavoro per obiettivi e l’importanza del digitale. Nel 2019, lo smart working riguardava circa 570mila lavoratori, il 20% in più rispetto all’anno precedente. L’adozione nella PA raggiungeva il 16%, nelle PMI il 12% mentre nelle grandi imprese ad avere iniziative strutturate era il 58%. Il lavoro da remoto era svolto in media un giorno alla settimana, riservato prevalentemente alle attività di lavoro individuale.

Durante la fase più acuta dell’emergenza, lo Smart Working ha riguardato il 94% dei lavoratori della PA, il 58% delle PMI e il 97% delle grandi imprese: il totale ha superato i 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei dipendenti italiani e oltre dieci volte in più rispetto al 2019.

L’esperienza ha messo in luce come l’organizzazione del lavoro, nel nostro Paese, fosse basata su principi superati e inadeguati a rispecchiare l’epoca che stiamo vivendo. L’esperienza fatta dai lavoratori in questi anni e quella che faranno nei mesi di gestione post emergenziale sarà perciò preziosa per sperimentare e progettare nuovi modi di collaborare e lavorare.

Il numero maggiore di smart worker (2,11 milioni) lavora nelle grandi imprese, seguite dalla PA (1,8 milioni), dalle microimprese sotto i dieci addetti e dalle PMI (1,13 milioni).

L’applicazione dello Smart Working durante la pandemia, seppur forzata e emergenziale, ha dimostrato come un modo diverso di lavorare sia possibile, ma ha anche acceso i riflettori sulle difficoltà e sull’impreparazione tecnologica di molte aziende. Lavorare da remoto, infatti, comporta la necessitò di trovare nuovi equilibri, costruire nuove competenze, ma soprattutto di definire modalità organizzative nuove e queste saranno al centro dei prossimi mesi.

Come cambiano le aziende grazie allo Smart Working

Più di due imprese su tre hanno dovuto aumentare la dotazione di strumenti hardware e pc portatili (69%), tre PA su quattro hanno incoraggiato l’utilizzo di dispositivi personali, mentre il 50% delle PMI non ha potuto operare in modalità remota. A livello organizzativo, il 58% delle grandi aziende e il 28% dei lavoratori hanno riscontrato difficoltà nel mantenimento dell’equilibrio tra lavoro e vita privata, mentre per il 33% delle organizzazioni i manager non erano pronti alla gestione del lavoro da remoto.

Questi numeri evidenziano la necessità di mettere al centro la trasformazione digitale dei processi e i cambiamenti sostanziali nel modo di lavorare: tutta l’organizzazione, infatti, deve divenire smart.

Lo Smart Working emergenziale, comunque, ha contribuito in maniera significativa a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 53% nelle PA e per il 71% nelle grandi aziende), ad abbattere i pregiudizi sul lavoro agile (65% nelle grandi imprese) e a ripensare i processi aziendali (per il 42% nelle PA e per il 59% nelle grandi aziende).

E ora?

Ben sette lavoratori su dieci (71%) hanno vissuto un grande cambiamento dal punto di vista lavorativo e si domandano in cosa consista ora la sicurezza sul lavoro: l’emergenza sanitaria ha chiarito l’importanza del benessere personale e della vita al di fuori del lavoro, aumentando il desiderio di condizioni di lavoro più favorevoli che si traducono in maggiore flessibilità, opzioni di lavoro da remoto e interesse ai valori e all’etica aziendale. Ma c’è di più: il 76% dei lavoratori prenderebbe in considerazione di cercare un nuovo lavoro se scoprissero che all’interno della propria azienda non vi è una politica di diversità e inclusione oppure che viene applicato un divario retributivo di genere; il 25% ha pensato di prendere un anno sabbatico oppure cambiare settore e il 20% potrebbe avviare un’attività in proprio, passare a un lavoro part-time o andare in pensione anticipatamente.

La parola chiave è flessibilità

Non vi è dubbio, ormai, che la modalità ibrida sia preferita dalla maggior parte dei lavoratori. Le aziende dovranno essere perciò pronte ad accogliere queste esigenze: si nota, infatti, che sempre più candidati in sede di selezione chiedono se l’azienda consenta flessibilità nell’organizzare il luogo e l’orario di lavoro.

Instaurare nuovi e buoni livelli di fiducia con i dipendenti, consentendo così di organizzarsi in base al proprio lavoro, fa sì che le aziende ottengano un livello di soddisfazione professionale e personale maggiore che porta a una maggiore produttività e a un minore turnover.

È possibile, oggi, pensare di non prevedere lo Smart Working?

Le organizzazioni si chiedono oggi se sia possibile pensare di non prevedere il lavoro agile.

Questa domanda sottolinea ancora di più, se possibile, la necessità di modificare l’organizzazione del lavoro, basandola sulla responsabilizzazione dei gruppi e delle persone. È necessario coinvolgere le persone e favorire la collaborazione, valorizzando il potenziale di autonomia e di sviluppo. Lo smart working è sì una grande innovazione, ma l’innovazione avviene davvero solo se si realizza una cultura aziendale dinamica, basata su fiducia, collaborazione, motivazione e comune senso di scopo.

Per cambiare la cultura aziendale occorre rafforzare la formazione, sia in ambito tecnologico che nelle soft skills e sulla capacità di gestire e coordinare gruppi anche da remoto. Le aziende che intendono trattenere o assumere i nuovi talenti e rispondere alle attuali esigenze del mercato dovranno rispondere proattivamente al cambiamento.

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