Smart working, da soluzione logistica d’emergenza a strategia di sviluppo aziendale

Mar 31, 2021 | Cultura aziendale

A un anno di distanza dallo scoppio della pandemia, possiamo cominciare a tirare le somme dello smart working: per quante aziende si è trattato – e si tratta ancora – di improvvisazione e quanti business ne hanno invece fatto un processo fondamentale di sviluppo?

Secondo un’indagine promossa da Manageritalia e Cfmt, condotta da Astraricerche ad aprile 2020 e a gennaio 2021, è emerso che gran parte delle aziende italiane sono riuscite a rimanere a galla proprio grazie allo smart working con valori di produttività media in crescita nel corso dei mesi.
Le aziende che invece non hanno potuto riconvertire o innovare i propri modelli di business hanno ricevuto un brusco arresto, come nel settore del turismo e HoReCa.
Occorre precisare che quello che ci troviamo ad analizzare non sempre può essere davvero definito smart working: nella maggior parte delle aziende, infatti, assistiamo a forme di lavoro a distanza imposto dalle condizioni esterne, non ricercate dal singolo lavoratore e non concordate in base alle esigenze delle parti. Insomma, una risposta allo stato emergenziale.

Nel corso del 2020, tuttavia, le aziende hanno imparato a sfruttare nuovi tool, nuove piattaforme e nuove modalità: questo non esaurisce le modalità smart di lavoro, ma ci rammenta l’importanza di trasformare un’imposizione in un’opportunità imperdibile.
Ma c’è di più: secondo l’indagine CFMT, le priorità per il management si sono evolute e si concentrano ora sullo sviluppo delle competenze e sul talent management. La selezione e lo sviluppo delle risorse umane, dopo la focalizzazione sull’area commerciale del periodo marzo-aprile 2020, tornano al centro dell’attenzione. Lo dimostrano anche le tre voci caratterizzate da una crescita tanto intensa quanto costante: la formazione (+12%), la comunicazione tramite eventi (+8%) e la comunicazione interna (+8%).
Questi dati confermano la necessità di adottare modelli organizzativi e di sviluppo nuovi, efficaci ed efficienti, il cui centro nevralgico siano le persone, i meccanismi aziendali di interazione interni ed esterni e l’alfabetizzazione digitale.
Secondo il rapporto Desi – Indice di digitalizzazione dell’economia e della società – l’Italia è situata in una buona posizione rispetto alla media Ue per open data (quarto posto), copertura della banda veloce, connettività, servizi pubblici digitali e diffusione dei servizi di sanità digitale (dato al di sopra della media Ue), ma agli ultimi posti per velocità della connessione.

Cosa ci ha insegnato, quindi, quest’ultimo anno?

La smaterializzazione del lavoro e dei suoi luoghi è un’occasione di riassetto, di riflessione e di riorganizzazione. Il nuovo paradigma che si delinea richiede di mantenere alte le competenze, colmare i gap esistenti e partecipare attivamente alla creazione di nuovi modelli di cultura aziendale, che siano al tempo stesso competitivi e innovativi. Il passaggio a una conduzione d’impresa finalmente digitale dovrà infatti avvenire all’insegna di investimenti sì economici e tecnologici, ma soprattutto culturali e formativi. Un salto di qualità, quindi, cui siamo tutti chiamati.

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